Italo Calvino
la scienza nel Segno dell’immaginazione
In groppa alla Galassia percorrevo gli anni luce caracollando sulle orbite planetarie e stellari come in sella a un cavallo dagli zoccoli sprizzanti scintille; ero in uno stato di esaltazione via via crescente; mi pareva d'avanzare alla conquista di ciò che per me solo contava, segno e regno e nome... La Galassia si voltava come una frittata nella sua padella infuocata, essa stessa padella friggente e dorato pesceduovo; ed io friggevo con lei dall'impazienza.
L’opera di Italo Calvino (1923-1985) si situa in un momento della storia d’Italia e d’Europa che presenta dei tratti invertiti rispetto a quando scrivono Collodi e Deamicis.
Calvino e la Resistenza
Edmondo De Amicis (1846-1908) aveva partecipato come luogotenente alla battaglia di Custoza (1866 - Terza Guerra di Indipendenza), mentre nel 1870 aveva preso parte all’azione risorgimentale più rappresentativa: la breccia di Porta Pia. Il suo esordio come scrittore avviene a ventidue anni (1868) con una raccolta di bozzetti, dal titolo La vita militare. Non si deve dimenticare che nel 1891 De Amicis aderì al Partito Socialista, il che mostra come lo spirito patriottico e risorgimentale portava in sé una propulsione rivoluzionaria che tanto ha permesso all’Italia di sottrarsi alla dominazione dello “straniero”, quanto ha animato mille conflitti interni alla nostra stessa Nazione, percorrendo tutta la sua storia con effetti paradossali e spesso contraddittori. Italo Calvino per contro, dopo la nascita della Repubblica di Salò, si nasconde per evitare l'arruolamento, e poi aderisce al Partito Comunista, entrando in una formazione partigiana "garibaldina" che agisce sulle montagne tra l'entroterra ligure e il Piemonte. Italo Calvino si ritrova dunque garibaldino a combattere in Piemonte, contro i suoi stessi connazionali, in una guerra civile – la Resistenza – che ha profondamente segnato tutto il sessantennio successivo della nostra storia politica e culturale, e della quale egli stesso ci dà testimonianza con la sua cosiddetta produzione “neo-realista” e “resistenziale” che comincia anche per lui a ventidue anni (1945-47) con Il sentiero dei nidi di ragno, in cui viene descritta la guerra partigiana con gli occhi del bambino Pin:
«Come entra questo libro nella "letteratura della Resistenza"? Al tempo in cui l'ho scritto, creare una "letteratura della Resistenza" era ancora un problema aperto, scrivere "il romanzo della Resistenza" si poneva come un imperativo; [...] credo che ogni volta che si è stati testimoni o attori d'un epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale [...]. A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora, proprio per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema, decisi che l'avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi di un bambino, in un ambiente di monelli e di vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l'aspro sapore, il ritmo [...] Il rapporto tra il personaggio del bambino Pin e la guerra partigiana corrispondeva simbolicamente al rapporto che con la guerra partigiana m'ero trovato ad avere io. L'inferiorità di Pin come bambino di fronte all'incomprensibile mondo dei grandi corrisponde a quella che nella stessa situazione provavo io, come borghese. E la spregiudicatezza di Pin, per via della tanto vantata sua provenienza dal mondo della malavita, che lo fa sentire complice e quasi superiore verso ogni "fuori-legge", corrisponde al modo "intellettuale" d'essere all'altezza della situazione, di non meravigliarsi mai, di difendersi dalle emozioni... ».
Tutto questo ha un’estrema importanza per intendere la successiva produzione di Italo Calvino e gli inconfondibili tratti fantastici e visionari che la caratterizzano, nonché il posto che Calvino infine dà alla scienza all’interno di una visione del mondo che trae la sua origine proprio dalla «spregiudicatezza» di un monello vagabondo che guarda un «mondo di grandi» troppo duro da accettare così come si presentava.
L’Italia del dopoguerra accoglie questo tipo di sensibilità. Lo spirito “garibaldino” che aveva animato la rivoluzione della Resistenza si sente ancora in queste parole di Calvino:
«La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d'olio, ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse, e cosi ogni avventore ai tavoli delle "mense del popolo", ogni donna nelle code dei negozi; [...] la carica esplosiva di libertà che animava il giovane scrittore non era tanto nella sua volontà di documentare o informare, quanto in quella di esprimere. Esprimere che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo. Personaggi, paesaggi, spari, didascalie politiche, voci gergali, parolacce, lirismi, armi ed amplessi non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma [...]. Il "neorealismo" per noi che cominciammo di lì, fu quello».
Calvino e il PCI
L’intero mondo culturale e politico italiano del dopoguerra è animato da questo spirito. Italo Calvino appartiene a quella nutrita compagine di “intellettuali” che ruotano nell’ambiente della Einaudi e sono la voce indiscussa della cultura e della libertà democratica. Attorno a Giulio Einaudi si ritrovano studiosi, filosofi, storici, poeti e scrittori che proprio a Torino combattono per lo smantellamento dell’ “Italietta” savoiarda – e cioè dell’Italia di De Amicis – desiderosi di reinserire pienamente il nostro paese nel contesto culturale e artistico europeo e internazionale.
Italo Calvino lascia tuttavia il PCI nel 1957.
Cari compagni, devo comunicarvi la mia decisione ponderata e dolorosa di dimettermi dal Partito.
Ho rinnovato la tessera del ’57 manifestando dissenso; questo dissenso non si è affatto attenuato col passare dei mesi, tanto che mi sono astenuto da ogni attività di Partito e dalla collaborazione alla sua stampa, perché ogni mio atto politico non avrebbe potuto non portare traccia del mio dissenso, e cioè costituire una nuova infrazione disciplinare dopo quelle già rimproveratemi. Insieme a molti compagni, avevo auspicato che il Partito Comunista Italiano si mettesse alla testa del rinnovamento internazionale del comunismo, condannando metodi di esercizio del potere rivelatisi fallimentari e antipopolari, dando slancio all’iniziativa dal basso in tutti i campi, gettando le basi per una nuova unità di tutti i lavoratori, e in questo fervore creativo ritrovasse il vigore rivoluzionario e il mordente sulle masse. Sono stato tra chi sosteneva che solo uno slancio morale impetuoso e univoco potesse fare del 1956 veramente l’anno del «rinnovamento e rafforzamento» del Partito, in un momento in cui dalle più diverse parti del mondo comunista ci venivano appelli al coraggio e alla chiarezza. Invece la via seguita dal Pci, nella preparazione e in seguito all’VIII Congresso, attenuano i propositi rinnovatori in un sostanziale conservatorismo, ponendo l’accento sulla lotta contro i cosiddetti «revisionisti» anziché su quella contro i dogmatici, m’è apparsa (soprattutto da parte dei nostri dirigenti più giovani e nei quali riponevamo più speranze) come la rinuncia ad una grande occasione storica.In seguito ho sperato che il tradizionale centrismo della nostra Segreteria garantisse il diritto di cittadinanza nel Partito alle posizioni dei rinnovatori, come lo garantiva di fatto ai più radicali dogmatici. La linea seguita in questi mesi fino all’ultima riunione del Comitato Centrale (particolarmente grave perché il momento poteva essere nuovamente propizio a un passo avanti, e nulla si è mosso) e la drastica e sprezzante stroncatura del lavoro di ricerca di Antonio Giolitti (cui mi lega una profonda stima e una fraterna solidarietà) mi hanno tolto ogni residua speranza di poter svolgere una funzione utile pur ai margini del Partito.Ho fiducia nel movimento storico che porterà il socialismo, da una forma d’organizzazione accentrata e autoritaria, a forme di democrazia diretta e di partecipazione funzionale della classe lavoratrice e degli intellettuali alla direzione politica ed economica della società. È su questa via che il movimento comunista mondiale è spinto a risolvere i suoi problemi, con o senza soluzioni di continuità a seconda delle capacità di rinnovamento dei Partiti comunisti dei vari Paesi. È in questo senso che intendo continuare a volgere i miei orientamenti politici.
Le passioni del nostro dibattito interno e le prospettive dell’avvenire non m’hanno fatto dimenticare la gravità dell’attuale situazione politica italiana. La mia decisione di abbandonare la qualifica di membro del Partito è maturata soltanto quando ho compreso che il mio dissenso col Partito era divenuto un ostacolo ad ogni mia partecipazione politica. Come scrittore indipendente potrò in determinate circostanze prendere posizione al vostro fianco senza riserve interiori, come potrò lealmente (e sempre conscio dei limiti d’un punto di vista individuale) rivolgervi delle critiche ed entrare in discussione. So benissimo che l’«indipendenza» è termine che può essere illusorio ed equivoco, e che le lotte politiche immediate sono decise dalla forza organizzativa delle masse e non dalle sole idee degli intellettuali; non intendo affatto abbandonare la mia posizione d’intellettuale militante, né rinnegare nulla del mio passato. Ma credo che nel momento presente quel particolare tipo di partecipazione alla vita democratica che può dare uno scrittore e un uomo d’opinione non direttamente impegnato nell’attività politica, sia più efficace fuori dal Partito che dentro.
Calvino e l’OULIPO
Calvino si trasforma dunque in “intellettuale indipendente” lasciando l’impegno politico diretto. Il suo iter – come quello di tanti altri intellettuali dell’epoca – è stato quindi sostanzialmente quello di un contro-potere, una voce contro, una costante azione di critica contro qualunque verità che potesse proporsi come fissa e definitiva. E infatti nel 1965 Calvino si trasferirà a Parigi, dove a tutti i livelli sta montando la voce della contestazione. Il mondo giovanile e studentesco vuole l’ “immaginazione al potere”, mentre gli intellettuali di punta del periodi perseguono lo stesso programma nell’ambito delle scienze sociali, della filosofia, della letteratura, dell’arte in generale.
A Parigi Calvino si unisce al gruppo dell’ Oulipo (Ouvroir de Literature Potentielle) fondato dal matematico-scacchista François Le Lionnais, e da Raymond Queneau
Il gruppo dell'OULIPO esplora scientificamente la potenzialità della lingua con il continuo obiettivo di produrre nuovi procedimenti, nuove forme e strutture letterarie matematicamente costruibili, suscettibili di generare poesie, romanzi, racconti, trame. La struttura formale della lingua deve dal proprio interno (e cioè a prescindere dal senso riconoscibile delle parole) generare tutte le potenzialità dell’espressione non consentite dal modo ordinario di ascoltarle. Raymond Queneau precisava che alcuni suoi lavori potevano pur sembrare semplici scherzi, ma ricordava che anche la topologia o la teoria dei numeri vennero fuori, almeno in parte, da quella che una volta si chiamava la "matematica divertente". I suoi Centomila Miliardi di Poemi utilizzano la matematica combinatoria per generare poesie affidate unicamente alle leggi dei numeri. Un'altra opera - gli Esercizi di stile - nasce invece dall'idea di realizzare in campo letterario la stessa libertà di variazioni su tema resa possibile nella musica dall,a natura matematica delle sue strutture, e così un semplice episodio di vita quotidiana viene ripetuto 99 volte in 99 stili differenti (la versione filosofica, la trasposizione giudiziaria, la traduzione onomatopeica, lo stile ampolloso, la lettura retrograda, quella telegrafica, quella in versi…) ed altre ancora. E dunque si badi bene: gli “oulipiani” vogliono suscitare l'immaginazione proprio sottomettersi alle più rigide regole della matematica, liberandosi così da ogni riconoscibile forma espressiva affidata direttamente alla comprensione letteraria dei significati. Essi sviluppano l'idea che la scrittura si basa su impalcature rigorose, ma che esse non sono per forza comprensibili e decifrabili. Si tratta di strutture scelte arbitrariamente dall'autore dell'opera tra tutte quelle matematicamente disponibili, ma che una volta assunte, diventano obbligatorie. Il rigore della scienza venga utilizzato per liberarsi dalle costrizioni dell’espressione “scolastica”, e d’altra parte il segno scientifico stesso viene recepito e accolto nelle sue potenzialità letterarie.
E’ comprensibile come in questa setssa temperie culturale, invertita rispetto al passato, Umberto Eco (un altro insigne italiano a Parigi) scriva nel 1962 l’ Elogio di Franti – il “cattivo” di Cuore – mentre persegue anch’egli il progetto di una completa “apertura” delle strutture artistiche alle infinite potenzialità espressive dei segni utilizzati. Ciò che nella scienza di Galileo aveva rappresentato il simbolo della perfezione matematica del mondo – il Pendolo – in Umberto Eco arriverà a rappresentare (nel romanzo “Il pendolo di Foucault del 1988) l’esatto opposto: l’espressione più eminente dell’imprendibilità del mondo.
Così, delle sue Cosmicomiche (1965) Calvino scriverà nelle Lezioni Americane
"Il mio intento era dimostrare come il discorso per immagini tipico del mito possa nascere da qualsiasi terreno: anche dal linguaggio più lontano da ogni immagine visuale come quello della scienza d'oggi. Anche leggendo il più tecnico libro scientifico o il più astratto libro di filosofia si può incontrare una frase che inaspettatamente fa da stimolo alla fantasia figurale (…) ne può scaturire uno sviluppo fantastico tanto nello spirito del testo di partenza quanto in una direzione completamente diversa"
Leggiamo la fine di Un segno nello Spazio, preso proprio da questa raccolta. Il racconto prende spunto dalla teoria scientifica per cui «Situato nella zona esterna della Via Lattea, il Sole impiega circa 200 milioni d'anni a compiere una rivoluzione completa della Galassia» e parla della tormentata vicenda di Qfwfq che, determinato a ritrovare il segno che lui stesso aveva a un certo punto tracciato nello spazio della galassia si ritrova nella completa disillusione quanto alla possibilità di ritrovarlo e poterlo riconoscere e identificare in un infinito e imprendibile oceano di segni:
“Andavo avanti a cercare, e nello spazio s'infittivano i segni, da tutti i mondi chiunque ne avesse la possibilità ormai non mancava di marcare la sua traccia nello spazio in qualche modo, e il nostro mondo pure, ogni volta che mi voltavo, lo trovavo più gremito, tanto che mondo e spazio parevano uno lo specchio dell'altro, l'uno e l'altro minutamente istoriati di geroglifici e ideogrammi, ognuno dei quali poteva essere un segno e non esserlo: una concezione calcarea sul basalto, una cresta sollevata dal vento sulla sabbia rappresa del deserto, la disposizione degli occhi nelle piume del pavone (pian piano il vivere tra i segni aveva portato a vedere come segni le innumerevoli cose che prima stavano li senza segnare altro che la propria presenza, le aveva trasformate nel segno di se stesse e sommate alla serie dei segni fatti apposta da chi voleva fare un segno), le striature del fuoco contro una parete di roccia scistosa, la quattrocentoventisettesima scanalatura - un po' di sbieco - della cornice del frontone d'un mausoleo, una sequenza di striature su un video durante una tempesta magnetica (la serie di segni si moltiplicava nella serie dei segni di segni, di segni ripetuti innumerevoli volte sempre uguali e sempre in qualche modo differenti perché al segno fatto apposta si sommava il segno capitato H per caso), la gamba male inchiostrata della lettera R che in una copia d'un giornale della sera s'incontrava con una scoria filamentosa della carta, una tra le ottocentomila scrostature di un muro incatramato in un'intercapedine dei docks di Mel-bourne, la curva d'una statistica, una frenata sull'asfalto, un cromosoma... Ogni tanto, un soprassalto: È quello! e per un secondo ero sicuro d'aver ritrovato il mio segno, sulla terra o nello spazio non faceva differenza perché attraverso i segni s'era stabilita una continuità senza più un netto confine.Nell'universo ormai non c'erano più un contenente e un contenuto, ma solo uno spessore generale di segni sovrapposti e agglutinati che occupava tutto il volume dello spazio, era una picchiettatura continua, mìnutissima, un reticolo di linee e graffi e rilievi e incisioni, l'universo era scarabocchiato da tutte le parti, lungo tutte le dimensioni. Non c'era più modo di fissare un punto dì riferimento: la Galassia continuava a dar volta ma io non riuscivo più a contare i giri, qualsiasi punto poteva essere quello di partenza, qual-siasi segno accavallato agli altri poteva essere il mio, ma lo scoprirlo non sarebbe servito a niente, tanto era chiaro che indipendentemente dai segni lo spazio non esisteva e forse non era mai esistito”.
Il percorso letterario di Calvino segue allora una parabola che si rende comprensibile se pensiamo a cosa si è detto di Heidegger. L’esistenzialismo si radica nell’idea che l’esistenza non sia raggiungibile attraverso la conoscenza e i segni di cui essa deve di necessità servirsi. Questo aveva significato per il francese Sartre che “le parole” sono destinate comunque a cadere in un abisso in cui i differenti esistenti non riescono a ritrovarsi e a parlarsi fino in fondo. Ma negli anni di Sartre (anch’egli militante comunista) il pensiero francese e euro/americano aveva seguito anche il percorso opposto (e coincidente) ben esemplificato da questa pagina di Calvino: dire che la conoscenza non arriva all’esistenza, coincide col dire che la conoscenza dissolve l’esistenza di chi la cerca e la persegue nel mare di segni di cui essa si serve per manifestarsi.
La scienza è infine proprio ciò che mostra all’uomo la sua lontananza da se stesso.